Reportage
dell'avventura in MTB sulla Cordigliera Andina in Argentina
800 km in autonomia oltre i 4500 m
Il 9 febbraio ho completato una traversata mai conclusa da nessuno
in
bicicletta in completa autonomia e senza nessun supporto esterno.
Il
percorso di circa 800 km attraversava tutta la zona Andina Argentina
e l'estrema regione di Catamarca. Un percorso da Nord a Sud, quasi
sempre oltre i 4000 m e solamente per circa 300 km sceso a 3500
m,
con passi fino a 4850 m. Tentato da altri biker, ma terminato prima
sfruttando alcune piste come vie di fuga laterali che portavano
ad
Antofagasta Della Sierra oppure al passo Socompa.
Io invece ho proseguito fino all'ultimo avamposto fantasma Las
Quinuas (dove a volte vivono 2 persone grazie ad un po' d'acqua
chele
montagne innevate sopra questa oasi rifornisce) e poi ho proseguito
in direzione del vulcao Peinado e poi verso Las Grutas.
E' stata una esperienza molto forte, in completa solitudine tra
vulcani e lagune di bellezza fuori dal comune. Luoghi antichi che
solamente mescolati alla propria soli-tudine, alla fatica, alla
sofferenza possono arricchire il proprio io e rafforzare i propri
sentimenti più profondi e scoprirne di altri per capirne
le lacune.
Gli ultimi 4 giorni sono stati i più difficili perchè
poche erano le
certezze reali. Biso-gnava decidere se andare avanti o uscire da
queste vie di fuga
era il pensiero di una notte in tenda.
Io sono
sempre stato bene e la mia psiche non e' stata mai scalfita da grossi
dubbi,
Ero sempre certo di essere sulla pista giusta, diciamo direzione,
perché spesso la pista scompariva e bisognava solamente intuirne
la
direzione tra le colate di lava nera e le colline di sabbia gialla
e
ghiaia grigia oppure girare tra le lagune dal blu in-tenso o ancora
attraversare i salar accecanti. Il carico della mia bici di 50 kg
era
veramente una zavorra, ma la grande necessità d'acqua era
indispensabile, ed io ne portavo con me circa 20 l. Negli ultimi
giorni andavano esaurendosi perchè ne usavo per bere e per
cucinare.
Quanti pensieri su questa indispensabile risorsa che nel nostro
mondo
non ha il giusto e grande valore che merita, anzi, la maltrattiamo
e
quasi non ci appartiene anche se non possiamo farne a meno in
continuazione nella nostra giornata. Ogni volta che abbracciavo
la
borraccia io ero dedicato con tutto il mio pensiero e mi spruzzavo
piccoli getti nella bocca e sui denti, era una vera goduria ad occhi
chiusi. Ne spruzzavo per 3 volte (il numero perfetto) ma qualche
volta quando la fatica era tanta e la bocca veramente secca che
la
lingua mi si attaccava il palato, mi abban-donavo e ne spruzzavo
5
volte. Un bene prezioso che alimentava anche le mie bu-ste di cibo
disidratato che cucinavo la sera.
La traversata del salar de Antofalle, mi ha impegnato moltissimo
perchè immagina-vo di trovare la pista facilmente invece
ho
continuato sulla costa ovest per diversi km sperando di vedere delle
tracce sicure. Dopo qualche km che spingevo la bici sotto il sole
bruciante, intuisco di aver superato il passaggio chiave che portava
sul-la sponda opposta. Io avvolto dal passamontagna e coperto tutto
il corpo per non bruciarmi, tra gli occhiali, ritorno e riconosco
alcune tracce di un passaggio. In 3 ore faccio 6 km e mi ritrovo
sull'altra sponda, circondato dalle montagne e vulcani che arrivano
fino sulla sponda del salar. Spingo perché il percorso e'
duro e
pieno di cunette che fanno sobbalzare la bici e non voglio rischiare
di
spaccare qualche co-sa. Un portapacchi anteriore e' già rotto
e
riparato in qualche modo con dei ferri. Continuo verso sud,
costeggiando completamente il salar in tutto il suo perimetro come
fa
un naufrago che cerca una ansa sicura.
Sono molto provato, ma devo continuare fino a tardi perchè
qui sul
sale non posso piantare la tenda, e' tutto sconnesso, e' duro come
il
cemento e i picchetti non si piantano. Arrivo esausto su una piccola
baia di sabbia, ho fatto solamente 30 km e tira un forte vento.
Quando mi fermo non avverto più la fatica perché tutti
i muscoli non
sentono il cari-co della bici e mi sembra di rinascere. Il solito
rito, riparare il fornello a benzina dal vento e far scaldare l'acqua
per le buste di cibo. Alle 22 e' notte e o sono già cori-cato
e nella
tenda ho tutto sotto mano. La gola e' sempre secca e godo quando
bevo. I volti della mia famiglia sono come le foto appese e li vedo
lampanti e ben definiti fino a che non mi addormento. In tenda a
volte la temperatura e' scesa an-che a meno 8-10 gradi, ma io ho
tutto il necessario per non patire il freddo. Ogni tanto esco la
notte, sopporto il freddo e ammiro per qualche minuto il firmamento,
e' una distesa infinita di puntini luminosi che si perdono nel nero
spettrale, quasi ven-go assorbito dalla via lattea e nebulose. Sopra
la mia testa riconosco sempre la co-stellazione del guerriero. Il
giorno dopo la stanchezza e' generale e così non mi ac-corgo
se sono
veramente stanco. Qualche tratto di pedalata mi da entusiasmo e
non
penso all'acqua che va consumandosi, ma ho la certezza di essere
sulla dire-zione corretta puntando verso il Vulcano Peinado, vedo
il
suo particolare e incon-fondibile cono in lontananza. Continuo nella
sua direzione e mai lo raggiungo, il percorso e' molto sinuoso,
a
volte il sole e' alle spalle e il vento a favore, a volte e' in
fronte e il vento mi sputa la sabbia sotto gli occhiali. Le colate
di
lava che risalgo spingendo la bici, sono fatte di sassi neri che
fanno un rumore metallico affondati nella sabbia finissima. Procedo
molto lentamente a 4700 m, ansimo e mi fermo spesso dandomi in
continuazione dei punti di arrivo, poche decine di m a dir il vero.
Avanzo a piccoli passi scivolando nella sabbia che entra nello
scarpone anche se io ho stretto i pantaloni alla caviglia. Testa
bassa, guardo solamente 2 m avanti per dare la direzione migliore
alla bici. La trascino dal canotto della sella. Non ho gran-de
fretta, so che dovrebbero mancare circa 50-80 km 2-3 giorni, il
mio
pensiero raf-forzato negli anni mi ha fatto capire che muovendosi,
anche lentamente fa sempre arrivare.
Bisogna muoversi, fare, costruire, anche lentamente e sicuramente
si
arriva, si cre-a, si realizza. Una cosa e' certa se si sta fermi,
se
si aspetta immobili, non si arrive-rà mai. Questo e' certo,
è sicuro.
Certo ci vorrà del tempo, ma prima o poi muovendosi si arriva
al
traguardo. Spingo ed e' una fatica estrema che ho cercato e che
io
amo, e' una sorta di meditazione.
Cerco ora in questo momento della mia vita di trasmettere queste
emozioni e pen-sieri ai miei figli, e mi auguro che crescano sicuri
e
resistenti a questa grande av-ventura che e' questa bellissima vita.
Il sole picchia, la quota mi fa ansimare, la gola e' arsa e
incollata, mi porto appres-so la mia bici, e' indispensabile e'
la
mia unica sicurezza non la posso abbandona-re, la devo curare, fa
parte di me, e' la mia scialuppa. Sono un uomo lento che sci-vola
su
questa madre natura, un automa, il fisico si muove silenzioso a
volte
barcol-lando, la testa accaldata ciondolante, ma la mente attenta,
dolce, lo accudisce, non lo spreme e ascolta i suoi problema e le
sue
necessità, non lo può frustare e butta-re allo sbaraglio,
sarebbe un
delitto, si potrebbe non uscire mai da questo labirinto se ci fosse
un danno fisico. L'ho guadagnato con l'esperienza, il fisico ha
grande potenzialità se ben allenato, ma il combustibile che
lo fa
andare avanti integro il più possibile e' la mente: il diamante
più
prezioso. In ogni giorno di vita, vale questa re-gola, e questo
diamante e' da custodire con grande parsimonia e amore.
Poi, quando ogni passo, ogni spinta, ogni movimento e gesto e'
diventato automati-co come lo scorrere del tempo di uno orologio,
anche la mia mente si allontana da questo controllo e si solleva,
galleggia nelle sue sfere, quasi proseguo senza guar-dare, e'
inserito il pilota automatico.
Un uomo, 3 situazioni: un corpo, la mente, e le vibrazioni. Con
la
mente guardo an-che le mie emozioni, i miei amori e li penso
intensamente. In questo momento ho raggiunto un grande stato di
pace
e mi sento fortissimo. Quando valico l'ultimo passo a 4850 m, mi
aspetta una discesa tra i sassi e argilla, scorgo vulcani innevati
e
una pista netta in lontananza capisco di essere verso la fine e
di
essere arrivato sulla strada principale. Ho con me poco più
di un
litro di acqua e mi abbandono sdraiato per terra ridendo
singhiozzando e piangendo di gioia.
15 km di asfalto per raggiungere Las Grutas a 4000 m di altitudine
che e' solamen-te un posto di gendarmeria di frontiera Argentina
e
fortunatamente anche dormito-rio. Rimango un giorno per recuperare
e
riesco a scaldarmi un pò d'acqua calda per lavarmi
finalmente.. mi
sento pulito.
Oramai so che non e' possibile provare a realizzare il mio progetto
sull'Aconcagua. La bici non e' più permessa da qualche anno
nel parco
per via delle migliaia di per-sone che vi fanno visita nei 3 mesi
invernali, il campo base e' proprio una piccola città senza
pace
caotica e rumorosa, un vero business in espansione.
La mia idea ora e' provare a raggiungere il Cile, la Laguna Verde
che
dista sola-mente 40 km e avventurarmi verso il Vulcano Ojos Del
Salados di 6880 m e pro-varne l'ascensione. Nei mesi di Dicembre
e
Gennaio ha nevicato molto e quest'anno molte spedizioni anche
sull'Aconcagua hanno dovuto rinunciare alla cima.
11 febbraio supero il passo San Francisco a 4750 m e raggiungo la
Laguna Verde, dal blu-verde intenso situata a 4200 m in una zona
aridissima ma magnifica. Qui c'e' una troupe televisiva Brasiliana
che sta facendo un documentario e mi fa molte riprese e interviste,
vivo un momento quotidiano da protagonista.
Anche qui serve un permesso per salire il Vulcano, io sono un po'
disperato perchè viene rilasciato solamente a Copiapo a circa
300 km
di distanza. Non ho tempo per fare questi tentativi e ai responsabili
del campo dico solamente che farò un avvici-namento in bici
al campo
base Atacama a 5300 m. In questo escamotage mi aiuta e mi copre
una
guida argentina, Ramon che accompagna la troupe Brasiliana.
Il 12 febbraio percorro 34 km per salire al campo base Atacama,
ho
lasciato del materiale alla Laguna Verde e salgo in 5 ore sulla
pista
tra i ghiacci. Qui ci sono al-cuni francesi e americani che hanno
tentato la salita ma invano per le cattive condi-zioni. Ci sono
anche
2 alpinisti austriaci con cui faccio amicizia e passiamo del tempo
assieme. Io dico della mia idea di salire il vulcano con la guida
che
risiede qui al campo base dove c'è l'ossigeno per una sicurezza
e si
alterna con altre guide della Laguna Verde.
Ma mi dicono che se voglio salire con loro non ci sono problemi
visto
la mia espe-rienza e la visita fatta con lo strumento per vedere
il
mio stato di acclimatazione a 5300 m, 84% capacità di assimilare
ossigeno e 93 battiti cardiaci. Ok fatto. Domani avanzeremo assieme.
Nella mia tendina la temperatura notturna scende a -4 non e' molto
freddo e fuori c'e bufera, sbatte tutto.
Il 13 febbraio preparo il materiale per la salita e mi procuro dei
ramponi vecchi. Na-turalmente preparo anche la bici. Lascio qui
l'altro materiale e mi preparo per salire il campo avanzato a 5800
m
dove c'e una specie di container con dei posti per dormire. Stiamo
bene e in meno di 3 ore saliamo al campo.
Poca roba ma l'indispensabile, cibo, acqua, sacco a pelo e vestiti
pesanti per la sa-lita. Io mi sono portato dall'Italia anche gli
scarponi da ghiaccio, indispensabili.
Dopo aver mangiato della zuppa e bevuto molto te, la notte passa
insonne mentre un'altra bufera e' incominciata. Speriamo duri poco
e
il vento tanto odiato faccia la sua parte spazzando via le nuvole.
L'appuntamento della sveglia e' alle 3 e ci ritroviamo tutti pronti
alle 4 per l'importante salita. Il cielo e' libero e si vedono le
migliaia di stelle con la via lattea.
La temperatura varia dai meno 10 -15, non e' molto freddo, ma il
vento cerca di pe-netrare insidioso tra i vestiti. Maikol e' un
esperto alpinista e fa strada con la sua potente frontale. I passi
sono lenti e il fondo e' molto instabile perché sotto la
neve c'e' il
ripido su ghiaia e ogni tanto si scivola. Il respiro e' affannoso
man
mano che si sale di quota. Il vento fa barcollare e ogni tanto mi
viene un freddo da far male ad un piede. Passo dopo passo si sale
tutti e tre assieme un po' distanziati. Io sono ul-timo e vedo queste
2 piccole luci avanzare a ritmo regolare e lento. Sempre più
len-ti,
mi manca il fiato e mi fermo spesso a bocca aperta cercando piu'
ossigeno pos-sibile con i battiti cardiaci che salgono sempre piu'.
Conto i passi piegato in avanti, Ogni 20, 40, 50 mi fermo appoggiato
sul ginocchio, sembra non salire mai. Quando il battito sembra buono
riprendo per altri piccoli 20 30 passi, poi nuovamente piegato sul
ginocchio, sbadiglio. Il cielo e' bellissimo, ma il vento ogni tanto
ti taglia forte il viso con spolverate di neve. Si respira a bocca
completamente aperta sotto il passamontagna. Non ho freddo al corpo,
qualche volta alle mani ma muovo le dita nelle moffole e subito
riprendono calore. Continuo pianissimo dondolandomi ad ogni passo
e
saliamo a zigzag. Sembra un percorso collaudato, non e' tecnico.
Arriviamo su un ghiacciaio abbastanza ripido che fa da traverso
per
raggiungere l'altro versante. Scivolare qui vorrebbe dire arrivare
in
fondo per diverse centinaia di m. Non si sa in che condizioni.
L'attenzione e' ai massimi livelli. Dobbiamo mettere i ramponi.
E'
un'impresa, i meno 12 e il vento che soffia forte li fa abbassare
ulte-riormente, mi devo togliere le moffole e mettere i guanti di
lana cotta che hanno le dita libere per lavorare meglio. Faccio
fatica a mettere i ramponi con le cinghie che avevo già preparato
al
campo. Tremo per il dolore alle dita, e spesso alito forte e metto
le
mani in tasca. Si sta alzando l'alba e si intravede una linea
arancione nel buio. Attraversiamo il ghiacciaio per qualche centinaio
di m. A volte lo strato e' du-ro, a volte si rompe una lastra sopra
e
si sprofonda fino alla vita. E' faticosissimo prendere condizione.
Il
vento lancia delle forti raffiche. Non mi sento padrone di me stesso.
Mi sento come strattonato a volte spinto violentemente. Non vedo
l'ora di essere fuori da questa situazione.
Controllo in continuazione i ramponi. Le cinghie una volta rosse
ora
sono di un co-lore rosa spento, sono vecchie e un po marce, una
l'avevo strappata al campo a-vanzato quando li preparavo. Sono
l'unica mia sicurezza per progredire sul ghiac-ciaio. Li controllo
in
continuazione. Le cinghie non devono allentarsi. Camminiamo ancora
più lentamente. Il vento fa barcollare e cadere 2 volte Maikol
davanti a noi, lui grida, probabilmente bestemmia. Non riesco a
capire per il sibilo del vento. Lui si gira e ci guarda. Sembra
voler
dire qualche cosa, e' indeciso. Siamo in mezzo al ghiacciaio e
spegniamo le frontali, il panorama sotto e' uno orizzonte aperto
di
cime inferiori. Non ho mai assistito ad una realtà simile,
mi si
inumidiscono gli occhi. La natura e' li che si mostra senza reazioni,
impassibile si mostra come e' realmente. E' solamente da accettare
nella sua semplicità. Arriviamo sull'altro versante, ora
camminiamo
sul misto e mi sento un po' più sicuro. Ma il vento sembra
aver
raffor-zato la sua energia. Siamo tutti e tre vicini su una piccola
sosta comoda e piatta. Ci parliamo ma non ci sentiamo. Torniamo
indietro!. Il vento e' proprio frontale e le raffiche forti sono
improvvise. Maikol ci guarda negli occhi e a malincuore scuote la
testa. La cima e' li, a vista, siamo a 6600 m alle 8:25. in pieno
giorno.
Muove ancora la testa e ci supera in discesa con gli occhi tristi.
Poche parole, non si girerà più per qualche centinaia
di m. chissà
cosa passa nei suoi pensieri. Io guardo ancora una volta in alto
mentre la neve mi passa sul volto e ritorno sul ghiacciaio.
Non sono triste, la forza e' accettare, non e' successo nulla che
abbia modificato il mio stato di forza. La rinuncia fa parte dello
star bene e della grandezza dell'uomo.
Ritrovo la bici che avevo lasciato a 6000 m e volo al campo base
Atacama a 5300 in 16 min. Poi via ancora alla Laguna Verde dove
mi
immergo nelle sue acque ter-mali caldissime. Ho già recuperato,
che
la mia idea e' ritornare il prima possibile a Las Grutas. Sto bene
e
le gambe girano. 80 km fatti in bici e sono su una branda.
Penso volentieri a me stesso.
Si, forse sono bravo, bravissimo per alcuni, ma so che la mia forza
e' accettare tut-to di me stesso. E riconoscendo di non aver perso
nulla, nelle apparenti sconfitte ho guadagnato tanta ricchezza.
15 febbraio
Sono passati circa 1200 km e 14000 m in salita 14500 m in discesa.
Lascio le alte cime e mi butto tutto d'un fiato per 180 km verso
questo piccolo vil-laggio di Fiambala a 1500 m di quota, la strada
e'
asfaltata, naturalmente il vento mi fa compagnia, ma io insisto
e
alle 22:30 quando e' buio fitto sono in un comodo dormitorio.
"Quello
di scendere con la bici da una grande montagna era un sogno
che rincorre-vo da anni ed ora e' rimasto ancora un bellissimo sogno,
forse era un'utopia, che mi accompagnerà probabilmente per
il resto
della mia vita e sarà difficile da cancel-lare, nelle mie
notti al
caldo sotto le coperte".
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